Accreditamento definitivo e rete d’impresa: quale futuro per il settore socio-sanitario?

In occasione del primo numero del blog RERAD abbiamo intervistato il dott. Averardo Orta sui temi della rete di impresa e delle associazioni (nello specifico ANASTE), dell’accreditamento definitivo e dell’occupazione nel settore socio-sanitario.

Averardo Orta ricopre diversi ruoli di una certa importanza nel settore sanitario della regione Emilia-Romagna e perfino nazionale: vicepresidente ANASTE Emilia Romagna e membro del Comitato Esecutivo dell’Associazione, membro di ECHO (European Confederation of Care Home Organizations), Presidente AIOP Bologna e membro del Consiglio Direttivo di Unindustria Bologna.

«Dott. Orta, in virtù dei suoi molteplici ruoli nel settore sanitario è riuscito a creare sinergia tra enti diversi, di dimensioni e importanza diverse?»
«Per sopravvivere a un periodo difficile e di trasformazioni mi sono convinto che sia necessario mettere in rete strutture anche molto diverse fra loro: pubbliche, private, profit, no profit, enti religiosi e cooperative, piccole e grandi, purché abbiano determinate caratteristiche comuni e condividano alcuni obiettivi. Nel 2009 abbiamo istituito un consorzio: Colibrì, che comprende 14 strutture con un ampio target di fatturato, la più grande di 80 milioni di euro, la più piccola 15 mila euro. Infatti, in una rete non esiste vincolo di dimensioni o di importanza economica e sociale dell’ente gestore, quello che conta è il vantaggio che si può dare alla rete e la qualità dei servizi che dalla stessa vengono successivamente erogati, che vedono la partecipazione di più strutture contemporaneamente.»

«Parliamo dunque di Colibrì e della struttura di una rete. Non è dunque possibile che, come spesso accade, gruppi grandi ottengano il monopolio della gestione e finiscano per schiacciare i gruppi più piccoli e le strutture individuali? In che modo, secondo lei, una rete come Colibrì o un’associazione come ANASTE possono tutelare il piccolo imprenditore?»
«Sicuramente assistiamo ad un fenomeno di concentrazione, com’è accaduto nella grande distribuzione. L’Italia rimane una realtà di piccole imprese, ma la spinta a crescere è fortissima. Per crescere, infatti, si è costretti o a comprare o a vendere, dal momento che la situazione del singolo, dato l’avvento dei grandi gruppi, risulta insostenibile, a causa della marginalità ridotta, dei costi altissimi, di un mercato troppo competitivo e di una burocrazia e normative complicatissime, che rendono l’erogazione di servizi da parte del singolo troppo costosa per essere di qualità o anche solo semplicemente sostenuta.
 Il grande limite delle associazioni, che io ritengo di vitale importanza in quanto rappresentanti su più livelli di un gruppo di interesse, è quello di implodere nel momento in cui il loro scopo è ingrandirsi quanto più possibile, non ponendo limiti a coloro che desiderano entrare nell’associazione stessa e creando quindi concorrenza e non sinergia tra le strutture in essa presenti.
 La rete di impresa è la terza via tra vendere e comprare.

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Una rete può crescere senza l’intervento di investimenti finanziari, e mira ad obiettivi che vanno al di là della semplice salvaguardia della categoria. Non c’è concorrenza ma sinergia, e si coopera nell’ottica di offrire al paziente non una prestazione, ma un percorso sanitario completo che lo accompagni in tutte le fasi della cura.
 Di conseguenza la rete risulta più rigida in materia di ingresso, in quanto la documentazione si presenta più precisa e obbliga i consorziati a seguire determinati obiettivi. Questa rigidità è, naturalmente, finalizzata ad una sempre migliore qualità del servizio erogato, quindi non è interessante, per una rete, avere al suo interno membri che ricoprano il medesimo ruolo: il valore di una rete è dato dalla diversità e specificità intrinseche ad ogni suo membro. In questo modo ogni consorziato, indipendentemente dalla propria grandezza, è sempre capotavola, e ciascuno può trattare a nome di tutti gli altri con i fornitori per ottenere prezzi e risultati sempre migliori, generando meno sprechi.»

«Entrando nello specifico di ANASTE, quali vantaggi offre rispetto ad altre associazioni?»

«ANASTE è l’unica associazione sul suolo italiano ad offrire un contratto di lavoro nazionale: lo scopo non è tanto lavorare con le persone quanto di lavorare per le persone. 
La diffusione sull’intero territorio italiano offre possibilità di assistenza e consulenza continue, e la partecipazione dell’associazione ad ECHO conferisce la garanzia di un confronto continuo con la dimensione estera del settore sociosanitario.
 Rappresenta l’associazione di punta del settore a livello nazionale ed è portavoce di una grossa fetta dell’imprenditoria ai tavoli sui quali viene dibattuta la formazione di leggi, fornendo, tra l’altro, grandissimo supporto alle imprese sui temi dell’accreditamento.»

«Proprio su questo argomento, l’avviamento dell’accreditamento definitivo, verterà il convegno di ANASTE a Bologna il 5 giugno “Evoluzione demografica & sostenibilità sociale”, di cui lei curerà la trattazione della prospettiva europea. Può darci qualche anticipazione?»

«Ritengo che il fattore più importante di questo convegno sia rendersi conto che dare risposte risulta quasi impossibile, ma che è invece necessario porsi le domande giuste.
 Assumendo che le previsioni di evoluzione demografica siano corrette, fra qualche anno si verificherà un’esplosione di grandi anziani, che produrrà un terribile impatto sul welfare e la sanità. Aumenta la speranza di vita, aumentano le persone, aumentano i bisogni ma diminuiscono le risorse.

Logo convegno Anaste

La soluzione può essere solo un immediato cambio di paradigma: ragionare come rete e non come segmenti, poiché il singolo non è e non sarà più in grado di rispondere ad un numero così ingente di necessità.
 Non è un caso che si stia verificando un sempre maggior numero di flussi di pazienti per cercare cure in altri paesi. Per questo, si rivela sempre più importante il confronto con altri paesi, in quanto la situazione europea si presenta sotto questo punto di vista piuttosto omogenea, seppur affrontata con risorse differenti.»

«Quali cambiamenti produce il percorso di accreditamento definitivo? E quali obiettivi si pone ANASTE all’interno di questo percorso, anche in confronto con le politiche regionali di accreditamento?»

«L’accreditamento definitivo porta con sé un cambio di mentalità: costringe a rimanere entro parametri definiti in tutto il territorio regionale. Consente perciò di comprendere chi, con le stesse risorse, riesce a fare meglio. Purtroppo ci sono anche gravi elementi negativi: rigidità eccessiva, calo delle tariffe di accreditamento, aumento dei requisiti, con conseguente scarsa possibilità di futuro per il piccolo imprenditore, dal momento che le strutture devono potersi sostenere. L’unico modo, quindi, di andare avanti, dev’essere individuato tra il fare un passo indietro sui requisiti o fare un passo avanti sulle tariffe. Non solo, la complessa burocrazia legata al mondo dell’accreditamento è diventata un elemento di complessità che distrae una rilevante quantità di risorse. 
Il convegno, da questo punto di vista, apre una nuova stagione poiché riunendo in un luogo solo le maggiori istituzioni, darà luogo alla possibilità di queste ultime di ascoltare e confrontarsi con le legittime istanze dei gestori anche di origine e cultura diversissime fra loro. La speranza è quella di raggiungere obiettivi soddisfacenti soprattutto ponendo attenzione alla specificità locale delle strutture socio-sanitarie interessate: meno burocrazia, meno rigidità, passi avanti sulle tariffe o passi indietro sui requisiti, per evitare che il sistema stagni e crolli su se stesso.»

«Cambiando argomento, abbiamo visto che con AIOP nel 2013 avete fornito 10 borse di studio agli studenti del liceo A. Righi di Bologna, in memoria di Maurizio Cevenini, e che Colibrì stessa si occupa di formazione. Se alla formazione e all’occupazione viene data una veste così importante, secondo lei è perché effettivamente il settore sociosanitario offre posti di lavoro e opportunità di occupazione?»
«Il settore dei servizi alla persona è uno dei più virtuosi sotto questo aspetto, anche per quanto riguarda i compensi dei lavoratori. Il 75%, infatti, dei ricavi viene redistribuito ai dipendenti, e questo è particolarmente evidente in una realtà come Colibrì che con 2704 posti letto autorizzati conta 4500 operatori. Il settore sociosanitario garantisce un alto ritorno di investimento per via delle tasse: prima con l’impresa, poi con i fornitori, poi con i dipendenti, genera un gettito straordinario e determina sensibili risparmi. Questo settore crea lavoro, che non può essere nero, e che quindi risulta il più efficiente a livello di investimenti pubblici, poiché si assistono persone che altrimenti sarebbero a carico di strutture più costose, come gli ospedali, oppure genererebbero disabilità che determinerebbero in secondo luogo pensioni di invalidità. Le spese fatte in questo settore non devono essere considerate costi, bensì investimenti. 
La formazione in questo è uno degli elementi centrali, e Colibrì rappresenta un provider regionale, e credo nella formazione in primis perché migliora la qualità del servizio, in secundis perché rappresenta un investimento sul capitale umano e intellettuale che costituisce poi una comunità.

struttura socio-sanitaria

Un paese con strutture sanitarie di qualità è più ricco, sotto tutti i punti di vista, dal momento che fornire servizi sanitari qualitativamente alti sicuramente fa da volano per l’economia: una prestazione e un percorso sanitario non sono clonabili e attirano pazienti anche da luoghi più lontani. Si può clonare un orologio di marca, ma di certo non si può clonare un intervento di cardio-chirurgia.»

«Come vede, per concludere, il futuro del settore sociosanitario?»
«Io sono certamente ottimista, ma un ottimista pragmatico. Sono certo che sia possibile far funzionare un settore solo nel momento in cui ciascuno si impegnerà per farlo funzionare, esattamente come entrare a far parte di un’associazione non significa pagare la quota e rimanerci passivamente. Attivarsi e impegnarsi onestamente sicuramente porterà ad un futuro roseo per questo settore.»

«La ringraziamo per queste sue parole. Buon lavoro per il prossimo futuro.»
«Grazie a voi, a presto.»

Massimo Monticelli